martedì 8 dicembre 2009
Yassine l'Italia
domenica 8 novembre 2009
Il bacio
Il bacio.
Ieri il mio bacio ti ha baciato con il baciodell'amore
non esisteva una condizione umana
non un verso della storia
il fiato intorno della notte
era una piccola giostra
di bambini.
(da Inedito per una passante, di Dale Zaccaria, Manni 2008)
Ti ho scritto la poesia che più di tutte mi ha preso, catturato! La sua semplicità racchiude in sè un'immagine bellissima, che amo e che mi ricorda anche una delle più belle canzoni di Girogio Gaber sul tema dell'amore, Quando sarò capace di amare. ...E allora mi piace pensare al tuo bacio come a una poesia che, proprio negli anni in cui si è raggiunto un "minimo storico di coscienza", sia un inno alla autenticità, chiarezza e trasparenza del sentire umano. Il non esisteva una condizione/umana/non un verso della storia, penso sia l'immagine centrale della poesia: la naturalezza, la purezza, la non-contaminazione del bacio, dell'amore e dei suoi gesti, estranei ai "fatti umani", perchè, per dirla con le parole di J. L. Borges, "morire e far morire è un'antica usanza, che suole aver la gente". Allora l'amore diventa un gesto naturale, non come quando io ragiono/ma come quando io respiro (G. Gaber). Il fiato intorno della notte, con i suoi alveari umani e i simboli del potere ecomonico, fumanti, i palazzi del potere politico e della sua corruzione, le distese di antenne e l'omologazione di massa, diventano solo, agli occhi degli amanti una piccola "giostra di bambini". Ed è sicuramente la chiave di lettura della realtà stessa, una realtà che non può essere letta e affrontata se alla base, non c'è un attore che riesca a scrostrarsi di dosso il peso della "condizione umana" e che si rapporti con l'altro-io con naturalezza e autenticità, perchè anche un gesto semplice-complesso come il bacio, sia davvero il bacio dell'amore.
giovedì 29 ottobre 2009
La Barca Scura
Naufragi
Racconti di uno
sabato 26 settembre 2009
mercoledì 26 agosto 2009
LA GINESTRA
«(...) Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola.»
(La Ginestra, di Giacomo Leopardi)
E le ginestre belle e profumose
risiamo noi, speranze del pianeta
che gira intorno alle menzogne esplose
(Dedica, da Coro dei fiori, di Gianni D'Elia)
Dalla marea che un popolo ha sommerso,
e me con esso, ancora
levo la testa? Ancora
ascolto? Ancora non è tutto perso?
(Congedo, da Preludio e Fughe, di U. Saba)
La ginestra, leopardianamente intesa, è simbolo dell’uomo che sa accettare la verità sulla propria condizione e può costruire partendo da questa, la propria dignità. Il delicato fiore coraggiosamente si leva sulla contemporanea “lava impietrata”, rappresentata dai valori economici, politici e religiosi raffigurati nel dipinto sullo sfondo, che non hanno più al centro dei loro interessi l’uomo. E’ l’invito rivolto all’uomo a risorgere dalla “marea che un popolo ha sommerso”. Un senso di speranza quindi permea il dipinto, espressa da una luce tenue che affiora da un cielo grigio, una luce che presagisce l’avvento di un cambiamento.
RINASCITA
mutande, asciugamani e camicie che piangono
lente lacrime sporche.
(P. NERUDA, Walking Around, in Residenza sulla terra, 1931-35)
Dal cielo grigio si intravede una luce tenue, speranza per l'avvento dell'“uomo nuovo”.
giovedì 2 luglio 2009
Recensione alla mostra "Poesia del Quotidiano"
Una mostra che giunge a coronamento di una passione che l’artista acrese ha sempre coltivato e che non è disgiunta dagli innumerevoli interessi e impegni artistici, culturali e civili a cui si dedica.
Questi dipinti infatti sono la forma espressiva più compiuta della sua visione della realtà e sentirlo, come l’altra sera, parlare delle sue ispirazioni e degli elementi concettuali delle sue opere fa capire quanto per lui la pittura non sia solo un fatto estetico ma qualcosa di molto più profondo che va a interagire con gli elementi culturali della sua formazione.
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Difficile parlare delle opere di un grande amico, senza rischiare di uscire da quella zona franca in cui si prescinde dall’affetto, dalla condivisione di molte idee, di molti sogni, di molte utopie, per essere realmente oggettivi.
Ma c’è qualcosa nei dipinti di Eugenio Alfano che parla in prima persona e anche se, come è logico e giusto, lì c’è tutta la sua personalità e la sua tensione etica e civile, essi riescono, anche non conoscendo l’autore, ad esprimere bene i concetti che vi sono sottesi e che vanno oltre il solo tratto pittorico di gran pregio.
Come già ebbi a scrivere tempo fa, il gesto pittorico di Eugenio Alfano si evidenzia in un sapore metafisico che si coniuga con tematiche concettuali legati alla realtà sociale e psicologica.
Ma c’è dell’altro, perché il suo “simbolismo” si nutre della grande forza della poesia, soprattutto del ruolo che oggi può e deve giocare, cioè quello ”eretico” di una “rieducazione sentimentalmente” dell’uomo, per farlo uscire dalla sottomissione alle logiche del mercato e del denaro, insegnando a guardarsi dentro, per far rinascere la “persona”
Per citare l’amico comune Gianni D’Elia :
“Sola ci potrà salvare un’eresia..ché da sempre comanda, politica, l’economia. …”
Ecco perché i dipinti di Eugenio Alfano hanno dei collegamenti stretti con la poesia e sono spesso accompagnati da riferimenti a grandi poeti e a grandi pensatori: proprio perché la sua rappresentazione della realtà, il suo evidenziare i pericoli e la “paura” (rappresentata tra l’altro in uno dei suoi migliori dipinti) non è fredda elencazione di malesseri, di ingiustizie, di corruzioni, ma è feconda di speranza,è densa dell’anelito al nascere di un nuovo umanesimo, capace di farci uscire dalla palude dell’omologazione, della massificazione e della rassegnazione.
E l’arte è uno dei mezzi più potenti per parlarci di questo, per risvegliare le coscienze, per farci riflettere e indicarci anche delle vie d’uscita che forse sono ancora lontane, ma che, anche attraverso la poesia del quotidiano, possono sempre più scalfire l’ottusa e rigida consistenza dei muri che ci siamo creati fuori e dentro di noi.
Gian Luigi Ago - Ass. culturale "Il vizio del pensiero"
domenica 26 aprile 2009
POESIA DEL QUOTIDIANO. Dipinti di Eugenio Alfano
Esposizione di alcuni dipinti al Bar Cardillac (Via degli Alfani, 57 r, FI) prevista per tutto il mese di maggio. Inaugurazione giorno 8 maggio alle ore 19.00.
Il titolo della esposizione, “POESIA DEL QUOTIDIANO. Dipinti di Eugenio Alfano”, richiama espressamente i due elementi presenti in tutte le opere: la poesia e i fatti quotidiani, «E quel che ha un nome vile/è un'assai gentil cosa/nelle mie stampe accolta» (L'incisore, da Preludio e canzonette, di U. Saba).
Un omaggio quindi alla poesia che si eleva a musa ispiratrice. La “trasposizione visiva” di alcune poesie del XX sec rappresenta uno spunto per poter parlare delle problematiche attuali dell'uomo e della realtà che lo circonda. Molti i poeti espressamente citati nelle didascalie, tra i quali Pier Paolo Pasolini, Umberto Saba, Baudelaire, Pablo Neruda, Jorge Luis Borges. Soprattutto uno dei più importanti poeti italiani attuali, Gianni D'Elia, del quale sarà presente uno scritto inviato personalmente ad Eugenio Alfano, che ha ad oggetto l'analisi di un suo dipinto (“Finestra sulla realtà”).
I lavori coniugano un tratto pittorico preciso e dal sapore metafisico a temi concettuali legati alla realtà sociale e psicologica.
Il percorso tematico è preciso e parte proprio dalle problematiche dell'uomo, con il suo malessere, la sua “follia contemporanea” (M. Foucault), i suoi rapporti di coppia e sociali; per poi toccare problematiche più generali: l'inquinamento, le morti bianche, l'ingiustizia sociale, la corruzione e le contraddizioni del Sud e dell'Italia in generale, la parte di giustizia che lotta contro la mafia e quella malata e corrotta, la frenetica guerra al terrore.
Queste problematiche, aggiunte ad un senso di smarrimento per la perdita dei vecchi valori da una parte, e ad un senso di paura collettiva dall'altra («E’ un terrore cosmico, un’istantanea insicurezza, l’universo che crolla e si dissolve. E intanto, la terra risuona d’un sordo tuono, con una voce che nessuno le conosceva», da Confesso che ho vissuto, di P. Neruda), porta ad auspicare la nascita di nuovo umanesimo, di un nuovo uomo portatore di una nuova coscienza. Il tutto si chiude infatti con il dipinto “Rinascita”, che richiama i versi di Pablo Neruda: “e cortili dove c'è biancheria appesa a un filo:/mutande, asciugamani e camicie che piangono/lente lacrime sporche”. Rappresenta il lavarsi, il pulirsi da tutti i valori attuali, il fare “tabula rasa” degli attuali valori malati, dentro e intorno a sé, e fondare una nuova coscienza.
martedì 24 febbraio 2009
PAURA
"la tierra es una fruta negra que el cielo muerde"
(Tengo miedo, da Crepusculario, di P. Neruda)
Ho paura. La sera è grigia e la tristezza
del cielo si apre come la bocca di un morto.
Il mio cuore ha un pianto di principessa
dimenticata nel fondo di un palazzo deserto.
Ho paura. E mi sento così stanco e piccolo
che rifletto la sera senza meditare su lei.
(Nella mia testa malata non deve entrare un sogno
così come nel cielo non è entrata una stella).
Tuttavia nei miei occhi una domanda esiste
e c'è un grido nella mia bocca che la mia bocca non grida.
Non v'è orecchio nella terra che oda il mio lamento triste
abbandonato in mezzo alla terra infinita!
L'universo muore d'una calma agonia
senza la festa del sole o il crepuscolo verde.
Agonizza Saturno come una pena mia,
la terra è un frutto nero che il cielo morde.
Per la vastità del vuoto vanno cieche
le nubi della sera, come barche perdute
che nascondessero stelle spezzate nelle loro stive.
E la morte del mondo cade sulla mia vita.
(Paura, da Crepuscolario, di Pablo Neruda)
"Non è lo stesso terrore che suscita il toro iracondo, il pugnale che minaccia, o l'acqua che s'inghiotte. E' un terrore cosmico, un'istantanea insicurezza, l'universo che crolla e si dissolve. E intanto, la terra risuona d'un sordo tuono, con una voce che nessuno le conosceva."
(da Confesso che ho vissuto, di P. Neruda)
giovedì 12 febbraio 2009
LE DROIT DE S'EN ALLER
[Italia, frammento orfico]
(138, XI)
Come venimmo a così persi tempi,
che nemmeno il morire è più concesso,
il diritto d’andarsene nei tempi,
oltre lo spazio dell’Italia ossesso?
Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro,
l’uno cosciente e schiavo della pompa,
l’altra incosciente d’un volere chiaro,
stelle comete della propria tomba…
E intorno un coro d’avvoltoi raro,
certe facce sbiancate dai livori,
il dovere di vita vaticano,
di tutti i Monsignori e Lorsignori.
Non affoghiamo nel lievito pravo
dei farisei che ci vogliono cloni,
sotto la dittatura del più bravo
a mischiare milioni e confessioni.
Nella melma del perverso italiano
tempo del Papa Re e del Caimano,
noi vediamo bruciare la cometa
della vita, che alla morte si piega,
della morte, che la vita ha già intesa,
la lunga coda della propria attesa,
se dal male la vita è stata lesa,
perché almeno la fine non sia presa.
Eluana agli sciacalli non si è arresa,
a questa gente che ci affama e asseta.
Gianni D'Elia
*
Espressione usata da Baudelaire nel saggio “Edgar Poe, la sua vita e le sue opere”
(Opere, Meridiani Mondadori, 1996, pagina 795), a proposito del suicidio di Nerval;
il diritto di andarsene, cioè di morire:
“In mezzo all’enumerazione abbondante dei diritti dell’uomo che la saggezza del XIX secolo
ricomincia da capo così spesso e con tanta compiacenza, due diritti molto importanti sono stati dimenticati:
il diritto di contraddirsi e il diritto di andarsene.
Ma la Società considera colui che se ne va come un insolente;
essa castigherebbe volentieri certe spoglie funebri come quello sventurato soldato
in preda a vampirismo che la vista di un cadavere esasperava fino al furore.”
Traduzione di Giuseppe Montesano