sabato 10 maggio 2014

Senza Titolo

(Senza Titolo, di E. Alfano, olio su tela)


Respiro,
lento e profondo quanto il mare
mi lascio cadere
non mi svegliate
mi devo arenare
per conoscere quanto posso osare
ed ingannare...
ingannare il tempo ed il vento
cercando assiduamente il mio momento...
Respiro con gli occhi chiusi
di chi sogna
di chi a mani vuote cerca il suo destino.
con le tue parole 
cerco l'orizzonte
con le tue mani cerco il mio cuore...

(da Prime luci, di Filippo Carlotti)


Senza titolo

Il silenzio è d'oro,
viene detto spesso;
ma non solo questo,
la quiete
è il sapere di noi,
guardarci nel cuore,
liberi dai rumori
delle vite altrui
a distrarci dalla nostra.
Mi chiedo,
fino a che punto 
diradar la nebbia
serva a guardar chiaro
il mare,
e placarne la tempesta
terribile e violenta
durante la nostra età,
all'inquieta ricerca
non di cosa distruggere,
bensì di cosa si muove,
sapere chi è realmente
che si agita incontentabile.
Ma ad un viandante
in continuo viaggio
non è certo sapere dove si trova,
ma è dato decidere la sua meta.

(da Dolceamaro, di Carlo Amico)

giovedì 26 settembre 2013

AUT di Emon


L'individuo non è quel che è,
ma ciò che sceglie di essere.
(S. Kierkegaard)


AUT è il primo brano di Emon, selezionato per la semifinale del Contest "Musica Contro Le Mafie" 2013. 
Il brano (testo di MoMi - Monia B. Balsamello - e musica di Daniele Nacci) è un corale rifiuto della mafia, in tutte le sue forme, culture ed organizzazioni, e un'accorata dichiarazione di amore per l'antimafia.
Il linguaggio e le parole usate sono caratterizzate da semplicità e immediatezza. Sono parole comuni, quotidiane, che appartengo a ognuno di noi e puntano dritto al cuore e alla mente delle persone. AUT è un grido, che cerca di spiegare che per contrastare e combattere la mafia non serve essere Paolo Borsellino piuttosto che Giovanni Falcone, Peppino Impastato piuttosto che Giancarlo Siani, Don Padre Puglisi piuttosto che Carlo Alberto dalla Chiesa. Ognuno di noi, quotidianamente, può, con piccole azioni, scalfire l'impero mafioso, perchè la mafia è, prima di tutto, un fenomeno culturale, e tale veniva definito già nel 1925 da L. Franchetti: "La Mafia è un sentimento medievale; Mafioso è colui che crede di poter provvedere alla tutela e alla incolumità della sua persona e dei suoi averi mercè il suo valore e la sua influenza personale indipendentemente dall'azione dell'autorità e delle leggi".
E allora bisognerebbe iniziare a lottare contro la "rassegnazione" e togliersi dalla testa che la mafia "per il fatto che è così / così è da sempre / e per sempre lo sarà". Lo diceva Giovanni Falcone, "la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine" (G. Falcone, Cose di Cosa Nostra, Rizzoli). 
Bisognerebbe, inoltre, amare, vivere, insegnare la bellezza che riesce ad armare "le mani / e centra dritto al cuore / paura ed omertà". Bisognerebbe uscire ogni giorno dall'oblio dell'omertà, culla della mafia, per riaprire le "persiane chiuse" del "non vedo, non sento, non parlo", del "tengo famiglia". Perchè la lotta alla mafia ha bisogno di questi piccoli gesti quotidiani, non deve aver bisogno di santi loro "malgrado / sugli altari di laici e autorità". La lotta alla mafia è anche e semplicemente "Un sasso scagliato nell'universo / (che) potrebbe non fare rumore, / È niente, soltanto un piccolo gesto, / ma aggiunge materia all'amore". 


EMon è il contrario di NOME. L'idea è quella di occuparsi del dritto e rovescio delle cose. 
Nasce da un'idea di MoMi (Monia B. Balsamello) ed Eugenio Alfano (da cui la E la M del logo) e si sviluppa come progetto aperto a varie collaborazioni e istanze, un laboratorio dinamico, liquido, senza limiti di strade imposte. Senza il vincolo rigido del "siamo un gruppo e siamo solo noi”. 
Dalla poesia sonora alle canzoni, dalle performance in acustico al digitalpop, dai reading agli audiobook passando per live painting e agguati poetici, EMon è un contenitore, una cornice, una scatola, un cardigan, una cesta, una culla, un'accogliente concava dimora. Teatro-canzone, concerti, percorsi di parole, immagini e musica. Sotto il logo EMon confluisce chi ha voglia di fare insieme a MoMi qualcosa che abbia che fare con armonie sgangherate e intrecci meticci. Mani e schiene usate come block notes. Apnee nelle pozzanghere.
Vogliamo anime che siano altamente curiose e mediamente incapaci (nel senso che solo se non sai impari e ti diverti).
Nessuna presunzione di bravura, talento o genialità.
Nessuna pretesa di sentirsi indispensabili.

domenica 12 maggio 2013

Incertezze

(Incertezze, E. Alfano, olio su tela)

A una Generazione

Batte profondo un tamburo.
Sono arrivato al muro
che vien detto futuro?
 (Futuro, da Versicoli del controcaponi, di G. Caproni





"Per un attimo
un solo istante
vorrei tornare al tempo 
delle bici e del pallone sotto braccio
all'idea
che da grandi
saremmo diventati tutti degli eroi"
 
(Per un attimo, in Prime Luci, Filippo Carlotti)


"E' tutta andata via la gioventù
svenduta mese dopo mese per far posto
a questa produttiva lacrima"

(da Il passaggio, in Il non potere, Davide Nota)


"Venite, treni, portate lontano la gioventù
a cercare per il mondo ciò che qui è perduto.
Portate, treni, per il mondo a non ridere mai più
questi allegri ragazzi scacciati dal paese"

(da La meglio gioventù, in La meglio gioventù, P.P. Pasolini)



domenica 24 febbraio 2013

Natura morta

(Natura morta, E. A., olio su tela)




a  G.


"Ognuno è solo, ma con vario cuore
riguarda sempre le solite stelle"

(Se desolato io cammino, S. Penna)


"E' cresciuto il verde, amico
ai miei propositi oscuri.
Col vespro m'appiatto.
Indi m'accorgo
che la luna mi guarda serena".

(E' cresciuto il verde, amico, S. Penna)

mercoledì 5 dicembre 2012

Anahì del mare. di Anna Milazzo




Ci sono storie che contengono inevitabilmente tante singole storie che poi formano un percorso collettivo, la storia di un popolo, di un Paese.
Il libro autobiografico di Anna Milazzo rientra proprio tra queste storie, la storia di Anahì che si lega e rappresenta la storia del popolo uruguayano ai tempi della dittatura. E la dittatura in Uruguay, con tutto ciò che ha portato e causato, è una ferita ancora aperta.
E’ un libro sulla memoria, «di memorie // che fanno un vivo d’ogni altro vivo» (Ma la tromba è venuta in un minuto, in Bassa stagione, di Gianni D’Elia, Einaudi, 2003).
E’ un viaggio, e lo scopo di questo viaggio ci viene svelato dall’autrice stessa: «se rinunciare alla condizione di esiliato voleva dire rinunciare alla memoria, allora Anahì voleva rimanere per sempre “l’esiliata”, per ricordare, per riscattare il suo passato. Farlo significava scendere nell’inferno dell’oblio, abitato da fantasmi, e scendere non una né due ma tante, tante volte fino a guardare con lucidità ogni tratto di un percorso, ogni segno di una ferita, distinguendo finalmente ciò che fu tradimento da ciò che fu inevitabile, ciò che fu incoscienza da ciò che fu responsabilità consapevole» (pag. 69).
Sebbene “Anahì del mare” sia un libro che ripercorre determinati fatti, in un determinato Paese e in un determinato periodo, riesce ad essere, al tempo stesso, un libro che “parla al futuro”.
E’ questa, forse, la chiave di lettura del libro, ripercorrere la memoria di un Paese per costruire un nuovo e diverso futuro. Un futuro fatto di diritti umani e giustizia. E non a caso il libro si apre proprio con una poesia in questo senso:

Nell’esilio camminai guardando solo il presente.
Il futuro mi apparve come un vortice terribilmente sconosciuto. 
Giorno dopo giorno camminai incerta, trascinandomi il passato. 
Scelsi la notte per il passato e il giorno per il presente. 
Ma solo nell’effimera ora aurorale
Il passato e il presente si unirono
Per generare, in ogni incontro, un pezzettino di futuro.

I temi affrontati sono problemi della nostra società contemporanea, dando, così, molti spunti di riflessione e discussioni.
La tortura che ripercorre con un quasi invisibile filo rosso, rosso come il sangue delle vittime, tutto il libro. Non sfugge alla tortura nemmeno la protagonista, Anna-Anahì. E Anna-Anahì, ritorna in un Paese, l'Italia, che ad oggi non ha ancora, nero su bianco, il reato di tortura.
Il fenomeno dell’emigrazione e, in particolare, di un italiano che emigra in Uruguay. Dal 1860 al 1950 circa, sono emigrati più di 50 milioni di italiani. Esiste un’altra Italia all’estero. Le città italiane più grandi sono all’estero. L'Italia, però, ignorando o dimenticando la propria storia, prevede come reato, lo status di straniero "irregolare", rendendosi, anche, complice, insieme alla Libia, di respingimenti nel Mediterraneo.
Le violenze sessuali e i soprusi subiti dalle donne da parte dei soldati. Violenze e soprusi commessi in ogni epoche, durante dittature e conflitti, e ancora oggi utilizzate come strumento di guerra. Durante la Seconda Guerra Mondiale, parte dei soldati delle truppe alleate abusarono di donne e bambini, anche e soprattutto in Italia. Sono passate alla storia come “marocchinate” e sono state descritte nel romanzo-denuncia di Alberto Moravia, La ciociara
Infine,  il ruolo che le donne hanno avuto in tutta la storia della dittatura in Uruguay, affrontata, in tutti i suoi aspetti, in “Anahì del mare”. Proprio attraverso tre figure principali, Anahì stessa, Irma e Alba Rabaldo (detta la Negra), vengono affrontati i diritti delle donne.
Alba Rabaldo è la prima donna che entra in Parlamento. La sua attività è tutta dedicata alla difesa dei diritti delle donne, dei poveri e delle minoranze. Il suo «è un grido di dolore ma anche un avvertimento ai tiranni: il popolo non si sarebbe arreso». La figura de la Negra, riporta alla mente, la giovanissima Malalai Joya che, eletta nel Parlamento del nuovo Afghanistan, del dopo 11 settembre, ha urlato, senza paura, in faccia ai “signori della guerra” le ingiustizie subite dal popolo afgano. 
Il libro mette in evidenza il ruolo che le donne hanno avuto nelle opposizioni al regime uruguayano. Le donne «furono la chiave della diffusione dei messaggi» durante le proteste. E’ lo stesso ruolo che hanno avuto e continuano ad avere le donne nordafricane nella “Primavera araba”, in Egitto, in Arabia Saudita, ma anche, e ancora prima, in Iran. Sono donne che hanno pagato a caro prezzo il loro coraggio. Hanno subito abusi di genere, compresa la violenza sessuale.


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Anahì del mare
di Anna Milazzo
Infinito Edizioni, 2012
Con il patrocinio di Amnesty International - Sezione Italiana

lunedì 18 giugno 2012

"Due" - Viaggio attraverso 13 tracce. del Collettivo Unincoerentecometanti


(Collettivo Un Incoerente Come Tanti: Monia B. Balsamello, Francesco Perrotta, Eugenio Alfano)

Si può raccontare un disco?
Provare con le parole dette ad anticipare o arricchire quelle cantate?
E si può fare della Memoria un percorso in tracce da leggere prima che ascoltare?
Ci proviamo. 
Fateci sapere cosa ne pensate. 

Cos'è "Due"? Un contenitore esplosivo e dinamico. Una miccia che accende la riflessione. Un'opera sonora collettiva, prima che individuale, prima che frutto esclusivo di chi l'ha pensata e creata. Perché attinge dalla Storia e la trasforma in quotidiano. Perché annienta le distanze tra speculazione filosofica e sperimentazione pratica. Il ricordo è radice che nutre i rami dell'albero futuro. Al grido di "La memoria è nostra madre / noi i giorni a venire". 
Per noi il rapporto tra arte e tempo, presente e passato, dato che il passato porta al presente, è legame vivo e creativo, dato che l'artista, vivendo sulla terra e non sulla luna, attinge alla viva materia della storia che lo circonda. Ma non si ferma all'istante puntuale: perché l'opera d'arte è fuori del suo tempo e di tutti i tempi. 

"Due" cerca di ripercorrere alcuni fatti, mai risolti, della storia d’Italia del secondo Novecento e riportarli alla memoria e, non a caso, una delle prime tracce è proprio Memoria.
E’ il singolo, ormai privo di qualsiasi valore al quale appigliarsi, solitario (“le insegne straniere a rassicurare // ma io non sono qui”, da Io non sono qui), che intraprende un viaggio a ritroso negli ultimi sessant’anni della nostra Italia. E’ il viaggio dell’uomo in solitudine, del marinaio che “cercava un faro tra onde di barriera” (da Ballata del marinaio), nei meandri più oscuri dell’Italia. E’ un disco notturno per l’ambientazione di quasi tutti i brani, ma anche per la sensazione che suscita, simile a quella di infilarsi sotto le coperte e, prima di chiudere gli occhi, aprire un libro e immergersi in lettura. 
Ecco, allora, i primi flash: 2 agosto 1981, Stazione di Bologna e una “sala d’aspetto /che aspetta e censura”. Atelier 80 è un grido di dolore per gli ottantacinque innocenti. E’ un grido di rabbia per l’attacco subito da Bologna e per essere stata, ormai, troppe volte “violentata / dai segreti di Stato e dalla falsa memoria” e “sequestrata / dalla cronaca nera, dalla storia fumosa”.
Si volta pagina: Seconda Guerra Mondiale. In 50 ore sono le donne italiane a gridare per le violenze subite dalle truppe alleate. Le chiamano “marocchinate” e sono descritte anche in La Ciociara di Alberto Moravia. Per le donne italiane e per i bambini, dopo il ventennio fascista, rappresentano, invece, “il premio finale / un rito di guerra / l’istinto bestiale /semplice danno collaterale”. E’ il “prezzo da pagare per la patria da liberare”.
Tra gli anni Sessanta e Settanta in Italia hanno cercato di uccidere l’economia, la cultura e la politica e, questo, nelle figure, rispettivamente di Enrico Mattei, Pier Paolo Pasolini e Aldo Moro. A questi ultimi sono dedicati due brani del disco, A.M. e Petrolio
Getsemani nasce, invece, dalla considerazione che, alla fine, le mani che piantano gli ulivi commemorativi per i magistrati e le altre vittime di mafia, come quello in Via de’ Georgofili a Firenze, sono le stesse “mani sporche” che piazzano le bombe. E’ la traduzione in musica di una bellissima espressione di Leonardo Sciascia all’interno de Il contesto: «Non è più il cercare l’ago nel pagliaio, ma il cercare nel pagliaio il
filo di paglia». Questo brano, nella scaletta chiude il disco, e lo chiude con il ripetersi, ossessivo, di due parole: cuore e storia. Il cuore è quello che Pasolini definiva “passione disinteressata”: nel guardare alla storia e ai fatti quotidiani bisogna avere, innanzitutto, passione, amore, e allo, stesso tempo, disinteresse, per poter analizzare ogni fenomeno con la giusta obiettività, senza influenza alcuna, con il giusto distacco.
Il “lettore”, il viaggiatore del nostro disco, nonostante la vista di questi episodi, decide di resistere. La regola muta è un affresco metafisico e complessivo della nostra società contemporanea, con immagini figurative (“cadono foglie malate d’autunno”, “radici ostinate come cemento”, “una folla di nuvole in lutto”, “la pioggia insiste sul vetro e graffia il silenzio nel buio”, “le antenne sul tetto”) che richiamano alla esistenza umana contemporanea. Quello che ne esce, però, è un filo di speranza (“un timido sole che vuole tornare”) e la voglia di restare (e viene urlata: “Io resto qui”) e di cercare di operare attivamente. Il “profumo di pane” è proprio l’immagine del fare umano, all’alba, per il giorno a venire.
Nel disco è nascosta, alla fine, la traccia Giotto. I lavori del disco, le registrazioni audio e video, sono state ultimate nel luglio 2011, a distanza di dieci anni esatti dai fatti di Genova. E’ il nostro modo di ricordare quell’episodio che, come ha denunciato Amnesty International, rappresenta “la più grave sospensione e violazione dei diritti umani in un paese occidentale dalla Seconda Guerra Mondiale ”.
Altre due note sul disco.
Nonostante vengano “cantati” episodi ben contestualizzati (il rapimento Moro, il G8, la strage di Capaci, il delitto Pasolini, la strage di Bologna, le “marocchinate”), il disco però sembra non avere tempo. E’ un disco che riporta alla luce fatti storici ma parla al futuro. Ogni singolo episodio può e si collega ad un fatto della nostra quotidianità. Gli stupri di guerra, subiti dalle donne italiane, sono ancora oggi armi da guerra in molti paesi africani. Il modo sbrigativo con cui è stato chiuso il delitto Pasolini, la giustizia che si fa complice dell’assassinio, è l’immagine attuale dei vari Cucchi o Aldrovandi. Dei familiari che aspettano giustizia. E poi Genova, in un paese occidentale privo del reato di tortura nel proprio codice penale.
Esiste, infine, uno stretto legame con la poesia, tant’è che durante i live le canzoni sono spesso alternate alla lettura di poesie. La Ballata del marinaio, per esempio nasce come poesia e poi messa in musica. Ne La regola muta sono inserite due citazioni, una di Umberto Saba (“detriti umani”) e l’altra della poetessa persiana Forugh Farrokhzad, morta misteriosamente a seguito di un incidente stradale (“una folla di nuvole in lutto”).
La figura di Pasolini e la sua poesia invadono, poi, tutto il disco. A Pasolini, infatti, è stato dedicato un nostro spettacolo, PETROLIO. Il dvd all’interno del cofanetto è proprio un estratto dello spettacolo che si apre con uno scritto del poeta Gianni D'Elia, “Pasolini. Ultima scena”. Petrolio, alterna, in una forma di teatro-canzone, i nostri brani con scritti di Pasolini, estrapolati dalle sue poesie, da interviste, saggi, romanzi, film.
Il tutto accompagnato e colorato da una pittura dal vivo, copertina dell’intero spettacolo. Il live painting infatti è la rappresentazione visiva ed estemporanea delle suggestioni che ogni live fa emergere sul palco e dentro gli animi degli ascoltatori. 

Da noi. Per voi.

Collettivo Un Incoerente Come Tanti

In anteprima si possono ascoltare alcuni brani dal seguente link:


sabato 24 marzo 2012

Messaggi d'amore


(Messaggi d'amore, E. Alfano)


Tu manchi da questa camera e le cose non chiamano,
oggi. Ho deciso che il tempo non passi. In tuo onore.
Che non passi di qui e si fermi di sotto - dove gli uomini
chiacchierano seduti barbaramente. Amore mio.

(da Senza peso e senza polvere, Mariangela Gualtieri)






Oh, se ti avessi qui vicino, contro il mio grembo! oh, l'amore è fatto anche di questo, e perciò ti bacio e ribacio sui tuoi bei capelli neri.
O Pierre, basterebbe poco a morire. Vivere qui dentro è terribile, e io, morta, volerei da te per sempre. E tu mi ameresti come un uccellino piccolo piccolo, e saresti il mio buon carceriere.

(Lettere a Pierre, da L'altra verità, di Alda Merini)




Il mio amore è come una febbre, che continuamente aspira
a ciò che più lungamente alimenta la sua malattia,
e si nutre di ciò che ne conserva il male,
per compiacere al suo disordinato appetito guasto.

La mia ragione, che è il medico, per il mio amore,
mi ha abbandonato
e io, adesso, disperato, comprendo
che il desiderio è morte, e che la medicina lo combatteva.

Incurabile io sono, adesso che la mia ragione è incurante,
e, pazzo furioso in interminabile affanno,
i miei pensieri e i miei discorsi sono come impazziti,
vaneggiando senza verità, e formulati vanamente:

perchè bella io ti ho giurato, e ti ho pensato luminosa,
tu che sei nera come l'inferno, e oscura come la notte.

(Sonetto CIIIL, di W. Shakespeare, trad. E. Sanguineti)